Ai fini della qualifica di coltivatore diretto, per la Cassazione, il legislatore richiede che lo stesso si dedichi direttamente ed abitualmente alla coltivazione del fondo, con lavoro proprio o della sua famiglia, mentre per il riconoscimento della qualifica di imprenditore agricolo professionale è necessario che il soggetto dedichi alle attività agricole di cui all’art. 2735 c.c. almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio reddito da lavoro. Lo I.A.P. non è tenuto direttamente a provvedere alla coltivazione del fondo, ma è sufficiente che lo stesso “conduca” direttamente il terreno agricolo, anche a mezzo di maestranze, trattandosi di un imprenditore che provvede, svolgendo attività di direzione e controllo, alla coltivazione del fondo. Quindi, se per il coltivatore diretto rimane forte il legame con il fondo agricolo, così non è per lo I.A.P., in quanto è evidente l’assenza di un collegamento diretto con l’esercizio di un’attività sul campo, che può esprimersi con modalità direzionali e organizzative dell’attività agricola e di allevamento del bestiame. Diverso, pertanto, anche il trattamento che ne discende ai fini ICI/IMU.