Il ricorso oggetto della decisione della Corte di Cassazione era stato presentato per chiedere la cancellazione della sentenza con la quale la Commissione tributaria regionale della Lombardia aveva accolto le ragioni del comune, ritenendo legittimo l’accertamento emesso in ordine alla tassa per l’applicazione di spazi ed aree pubbliche relativamente ad un’area data in concessione ed utilizzata per l’attività di parcheggio. Nel gravame dinanzi alla Suprema Corte il concessionario ha dedotto, quale unico motivo di doglianza, la nullità della sentenza impugnata per omessa o insufficiente motivazione. Il ricorrente, infatti, ha evidenziato che la Commissione tributaria regionale, nel valutare la sussistenza del presupposto oggettivo della tassa, costituito dalla sottrazione del suolo all’uso indiscriminato da parte della collettività, non ha tenuto conto di alcuni aspetti che potevano deporre a favore della intassabilità dell’area in questione.
In primo luogo, ad avviso del ricorrente, i giudici di appello non hanno considerato la circostanza che, proprio in virtù della concessione, l’area era stata correttamente messa a disposizione della collettività. Inoltre, la concessione dell’area era soggetta a diverse limitazioni, sia perché lo svolgimento dell’attività di parcheggio era possibile soltanto per alcune fasce orarie dei giorni feriali, sia perché sussisteva comunque l’obbligo di consentire il libero parcheggio ai veicoli del comune e dei suoi dipendenti.
Il concessionario aggiungeva, inoltre, che le tariffe del parcheggio erano stabilite dal consiglio comunale e che i ricavi derivanti dall’attività dovevano coprire tutti i costi inerenti al rapporto concessorio nonché remunerare il proprio lavoro, per cui i vantaggi conseguenti alla gestione del parcheggio erano pressoché nulli.
La Corte di Cassazione, richiamando le norme che disciplinano la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, ha affermato, invece, che le aree oggetto della controversia erano state correttamente assoggettate alla tassa. Infatti, le disposizioni stabilite convenzionalmente nell’atto di concessione non vanno considerate alla stregua di limitazioni, come dedotto dal ricorrente, ma rappresentano semplicemente delle modalità di utilizzo dell’area. La fattispecie in discorso rientra, pertanto, nell’ambito dell’applicazione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche ai sensi degli articoli 38 e 39 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n.507, che disciplinano rispettivamente l’oggetto e i soggetti passivi della tassa. L’applicazione del tributo non è da correlare esclusivamente alla sottrazione delle aree e degli spazi pubblici all’uso indiscriminato della collettività per il vantaggio specifico di singoli soggetti, ma anche ad una utilizzazione particolare ed eccezionale, di cui la tassa in questione rappresenta il corrispettivo. In altri termini, la Corte di Cassazione, confermando il proprio orientamento espresso in precedenti pronunce, ha ribadito che l’utilizzo degli spazi o delle aree per un fine diverso dall’uso indiscriminato da parte della collettività rappresenta, in ogni caso, un presupposto per l’applicazione del tributo. Pertanto, le motivazioni del concessionario, volte ad affermare l’intassabilità delle aree adibite a parcheggio in quanto le stesse non venivano sottratte all’uso della collettività per recare vantaggio ad alcuni soggetti, non hanno trovato un positivo riscontro nell’interpretazione della Suprema Corte.
Né la circostanza che le tariffe di parcheggio applicate dal concessionario sono prestabilite dal comune può costituire, ad avviso dei supremi giudici, motivo di esclusione del vantaggio del concessionario, poiché la gestione del parcheggio si configura come attività imprenditoriale e, in quanto tale, ha un fine eminentemente lucrativo.
E’ il caso di aggiungere che l’esonero dal pagamento della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche può essere stabilito dal comune, con apposita deliberazione, nelle ipotesi specificate nell’art.3, comma 63, lett.b) della legge 28 dicembre 1995, n.549, ossia per le:
a) occupazioni permanenti con passi carrabili;
b) occupazioni permanenti con autovetture adibite al trasporto pubblico o privato su aree a ciò destinate;
c) occupazioni permanenti e temporanee del sottosuolo con condutture idriche necessarie per l’attività agricola nei comuni classificati montani.
In particolare, in relazione alla disposizione contenuta alla lettera b), come chiarito nella circolare del Ministero dell’economia e delle finanze n.43/E del 20 febbraio 1996, “la facoltà di esonero dal tributo in questione può essere esercitata, non solo per le occupazioni di aree, appositamente individuate dall’Ente locale, da parte di soggetti che svolgono attività di trasporto pubblico non di linea (taxi), ma anche per le occupazioni effettuate, in via permanente, da terzi concessionari su aree destinate dall’ente a parcheggio.” Da ciò deriva che il comune può concedere l’esonero non solo alle occupazioni realizzate con autovetture adibite al trasporto pubblico ma, come ulteriormente specificato nella risoluzione ministeriale n.85/E dell’8 giugno 2000, può “concedere al soggetto giuridico, ritenuto idoneo per la gestione di un servizio di parcheggio pubblico a pagamento, le aree in questione e, conseguentemente, di esentare queste ultime dal pagamento della TOSAP”. La mancata espressa previsione di siffatta agevolazione ha dunque impedito, nel caso di specie, l’accoglimento del ricorso.