A tal proposito, secondo la giurisprudenza, l’istituto della “dicatio ad patriam” è notoriamente connotato da elementi di fatto che denotino un comportamento del proprietario di un bene che lo mette in modo univoco a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l’effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico ovvero attraverso l’uso del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario all’usucapione (cfr. Cassazione civile sez. II 21 febbraio 2017 n. 4416; v. anche Consiglio di Stato sez. V 16 gennaio 2017 n. 97; T.A.R. Lazio, sez. II 12 luglio 2016 n. 7967; Cass. Civ., Sez. II, 12 agosto 2002, n. 12167, nonché Cons. Stato, Sez. V, 24 maggio 2007, n. 2618 e 28 giugno 2004, n. 4778).
insufficiente a tale scopo il mero inserimento della via nella toponomastica (che non ha valore costitutivo di diritti reali o servitù d’uso pubblico sulla strada), posta la condizione fisica dello stato dei luoghi, come emerge dalla cartografia e dalle altre documentazioni versate in giudizio, dalle quali non emerge che lo slargo di proprietà della sig.ra xxx sia soggetto a pubblico transito.
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